Tra disillusione e interrogativi: l’esperienza che non passa

Stazione di Termini, le 20,30 più o meno. Controlli che tutti rispettino la fila. Avranno da mangiare appena arriverà il loro turno. C’è qualcuno che ti chiede, sorridendo, di poter superare chi lo precede. Un altro ti parla nella sua lingua, tu non lo capisci. Ad un certo punto, incontri il suo viso.

“Da bambino sognavo questo posto, ma ora non vedo l’ora di scappare”. Ti rimbalzano in testa, le parole. Ti si riflette negli occhi, lo sguardo. E’ da lì che ricominci, o forse, più semplicemente, cominci. Nessun pietismo esasperato, nessuna commiserazione ostentata, solo la semplice ricerca d’un perché. Ti guardi attorno e le domande si affollano nella mente: una regressione allo stato infantile. Peccato che non ci siano tua madre o tuo padre a soddisfare la curiosità, peccato che le risposte devi dartele da solo.

“Da bambino sognavo questo posto, ma ora non vedo l’ora di scappare”. Sfuggito all’attenzione del mondo, troppo sporco per essere osservato, troppo straniero per essere accolto. Straniero d’una terra che dice d’emigrazione e povertà, forse. O almeno così hai sentito alla televisione. Ma della dolcezza del padre costretto a dormire per strada pur di lavorare, della forza del marito obbligato a lasciare la famiglia a casa di “un’amica”, no, nessuno ti aveva parlato. Quella “amica” non vuole ospitare anche lui, è albanese: straniero d’una terra che dice d’emigrazione e povertà, appunto. Perché, tu ti fidi della televisione.

Li guardi, ti guardi. La ricerca dei perché è affannata, triste come la mano che sino ad ora hai ritratto, o, per non punirti troppo, non hai teso. E i punti interrogativi, confusi, si contorcono nella tua testa, sognando l’esclamazione che li spieghi. Non pensi a dio, alla santissima famiglia, agli angeli, guardi loro dall’inizio alla fine. La sacralità della vita, del suicidio che si concede all’eutanasia, mille pensieri che non partoriscono che altri pensieri. Ma loro son sempre lì, allegri, tristi, arrabbiati, sereni: mani che si accordano come il più lungo degli scritti. “Con queste ho fatto di tutto”, “con queste ti benedico”, con le tue dovresti schiaffeggiare l’indifferenza. No, con queste mani dovresti pestare, dissanguare, l’egoismo, l’opulenza, il lassismo, l’indolenza, l’arroganza di chi, tra i passanti, dice ad alta voce: “Portano da mangiare ai nullafacenti…”.

Ma forse la risposta ti è giunta, accompagnata dall’ennesima domanda: “Da bambino sognavo questo posto, ma ora non vedo l’ora di…”. Scappare? Cambiarlo? Adesso, non hai più voglia di cercare. Che i tuoi interrogativi tornino al ballare. Osserva, sorridi e non pensare.

Gianluca, 24 anni. Sono uno studente pugliese che vive a Roma da qualche mese. L’educazione, le mie passioni musicali, mi hanno insegnato a guardare agli ultimi. Io ho imparato ad ascoltare la strada.

 

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *