Aiuta i rifugiati politici a prendere la patente di guida

1507630_10204166502857445_2980114510785756200_nCome al solito devo vincere la timidezza, quella che mezz’ora prima dell’appuntamento si materializza con una vocina fastidiosa che mi dice: “non ci andare, vedi come stai bene a casa tua, vedi quante cose puoi fare, oggi che è sabato pomeriggio ed è quasi primavera!”.

E invece no, ormai io mi conosco e quindi, per fortuna, riesco a zittire quella voce, quel rigurgito di indolenza che mi prende quando mi trovo ad avere in qualche modo una sovraesposizione di me stessa.

Quindi vado. Mi presento all’appuntamento fissato per le 15 presso le stanze del Centro Salesiano di via Marsala, dove una gentile volontaria di Prime Italia mi aveva indirizzato via mail per partecipare all’iniziativa “aiuta i rifugiati politici a prendere la patente”, aggiungendo un inciso “(anche se non sai distinguere un divieto di sosta da uno stop)”, o qualcosa del genere. Inciso quanto mai appropriato.

Vado, appunto. Con il timore di ogni prima volta, che spesso si tratta solo di emozione ma non la si riconosce. Ma anche con l’incoscienza di chi non sa cosa aspettarsi e neppure cosa deve andare a fare di preciso.

Io in quel momento so solo perché sono lì.

Sono lì perché voglio capire. Perché sotto la traccia di un tam tam solo mediatico, voglio vedere la vita che ci scorre. Voglio guardare in faccia e ascoltare le loro storie attraverso i loro visi segnati. Voglio vincere la paura.

La paura per il nero. Perché io sono nata in un paese dove sei straniero anche se provieni da una provincia diversa della stessa regione. La gente si riconosce attraverso un cognome, quello lì viene da quel paese, questo no. Loro sono quelli delle spiagge, dei nomi esotici, dei braccianti delle fabbriche di pomodori, dei venditori porta a porta il sabato mattina. Se ne può avere un po’ compassione ma non entra a casa tua, alla faccia del world wide.

Poi loro sono diventati quelli di cui avere davvero paura. Perché sono musulmani, dicono. Perché i musulmani sono pazzi, dicono. Loro sono quelli degli attentati, delle bombe scoppiate a casa tua in nome di un Allah che non conosci.

E poi sono diventati gli invasori, quelli dei barconi, quelli del “ci stanno riempiendo le nostre case e rubando i nostri lavori”.

Be’ tutto questo non mi ha mai convinto. Perché la globalizzazione dei click fatti sul divano di casa propria mi sembra un po’ teorica, perché la violenza che sembra spingere taluni o è pazzia o ha delle ragioni sociali, culturali, antropologiche molto profonde. Perché talune guerre sono spaventose solo perché ci sparano alla porta, altre sono silenziose. Perché quello che spinge esseri umani a vivere da nullatenenti in un posto dove sono triturati dalla macina della discriminazione e dell’analfabetismo affettivo è illogico se non governato da ragioni molto sensate.

E allora io voglio capire.

Mi presento all’appuntamento e capisco che, in effetti, non è come cantare canzoncine ai ragazzini del catechismo. Mi propongo di essere solo osservatrice anche se, dalla disinvoltura della bimba che fuori gioca da sola aspettando la mamma che è a lezione, capisco che potrebbe essere più facile del previsto.

Quando entriamo, insieme a un altro osservatore come me e al nostro volontario senior, mi trovo davanti solo tanti occhi che mi guardano, ma neanche tanto. I volontari sono molto preparati ad interagire con i ragazzi e le ragazze che stanno assistendo alla lezione. Mi presentano e continuano la loro attività.

Io in effetti devo solo osservare. E allora mi guardo intorno. E vedo tanta umanità, vedo chi è in un angolo e si vede che dorme, chi sta in prima fila e corregge persino il docente, chi si vede che non sta capendo. C’è un ragazzo che è arrivato tardi che fatica a tenere gli occhi aperti. E allora io fantastico su cosa debba essergli successo, penso che ha smesso di lavorare da poco, che viene da un turno iniziato la mattina presto. Immagino le loro vite osservando i loro volti, i molti sorrisi, i tantissimi punti interrogativi, tanti sguardi seri, compunti. Ma mi sembra di vedere anche tanta spensieratezza, di chi gli si è spalancata davanti una finestra e sta godendo l’aria fresca che entra.

Poi arriva il mio turno. I volontari mi sollecitano a provare e mi assicurano che è facilissimo. E in effetti lo è, nonostante io non sappia cosa sono i catadiottri. La mia parte di lezione dura 15 minuti più o meno ma non sono io a farla. Sono loro, gli utenti, i discenti, quelli che dovrebbero essere i diversi, gli aggressori, gli invasori, a guidarmi. Innanzitutto perché sanno come si svolge la lezione, poi perché sono tanti, poi perché è naturale che sia così, in tutte le umanità esistenti a questo mondo. Un gruppo che sa, guida.

Ed è forse proprio questo che mi porto a casa da quel pomeriggio. Che non esistono umanità diverse, con dinamiche, religione e pazzie proprie, ma ne esiste una sola, tutti identici se messi tutti nella stessa posizione. Per esempio quella di imparare, quello che stanno facendo loro. E per esempio quella di accompagnare all’apprendimento, che è quello che loro mi hanno consentito di fare.

Mi chiamo Roberta. Ho 32 anni. Sto trascorrendo il mio 11esimo anno a Roma, da quando ho lasciato il mio caro paesello natio nella collina marchigiana. Il paese di cui sopra si chiama Potenza Picena ed è in provincia di Macerata, 7.000 anime, poco più o poco meno.Roma mi ha accolto, cullato, confortato e divertito. C’ho trovato casa, oltre che un lavoro.Sono laureata in ingegneria gestionale e lavoro in Aeroporti di Roma. Se dovessi descrivermi con un aggettivo positivo, oggi direi “libera”, di tempo, di soldi, di testa. Se dovessi usare un aggettivo negativo direi “timida”, in certi momenti della mia vita ho sfiorato “la tappezzeria”. Oggi ci ho fatto pace e uso l’ironia per superare me stessa e prendermi in giro, cosa che dovrei fare sempre di più.

 

 

 

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Un pensiero riguardo “Aiuta i rifugiati politici a prendere la patente di guida

  • 4 Settembre 2015 in 00:43
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    Che carina questa testimonianza, un po’ mi ci rivedo nel combattere con la mia vocina che mi dice”oggi passa, vai domani”… grazie e continua cosi’ 😉

    Risposta

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