Alla mensa di Via Merulana, giornata gioiosa!

Condividiamo la testimonianza di Marygio, una volontaria di RomAltruista che ha partecipato all’attività delle Opere Antoniane.

Un sabato ho partecipato alla mensa di Opere Antoniane, vicino via Merulana, gestita dai Frati Minori Francescani, dove due settimane prima ero passata per capire come funzionasse, e anche per superare i miei timori di inadeguatezza, da volontaria inesperta.
Appena si arriva l’accoglienza all’esterno, davanti al portoncino d’ingresso, è già una sorpresa, perché sembra che tu sia una vecchia amica, salutata con molta gentilezza e allegria dal volto accogliente di Esther, “la pr della mensa”, come dicono scherzando gli altri volontari.
Si entra direttamente in una piccola stanza, utilizzata per organizzare la distribuzione dei pasti e le attività di pulizia. Chi ha bisogno, senza distanze della mente o del cuore, è accolto all’arrivo da persone sorridenti, che chiamano ciascun ospite, con rispetto, “signore”, a volte “professore”, “dottoressa”, come volendo, già nel saluto, restituire a ciascuno il diritto sacro alla propria dignità, perché è una persona, come tutti.
C’è molta attenzione ai dettagli. Le persone arrivano, si lavano le mani, ritirano il vassoio con il cibo, parlano un po’ con i volontari e poi entrano in una grande sala, dove ritirano il dolce e ognuno si siede ad un tavolino tutto per sé, se vuole. Questa mi sembra una cosa straordinaria: offrire per un po’ un posto fisico, che sia proprio, a persone che di proprio spesso non hanno più nulla.
Penso che la forza di questa mensa stia nella sua corrente di rispetto e gioia che spazza via tutto il resto, almeno per un attimo, si intrufola dentro di te e ci resta, quanto può. E questa gioia è costituita e diffusa, come un gigantesco vortice, da persone speciali che ne contengono un’infinità. Persone davvero uniche per come sono, per le loro risate, per il tocco leggero della mano con cui accompagnano chi non riesce a camminare, per l’orecchio discreto che ascolta ed incoraggia a non disperare, per la modestia e per il rigore con cui compiono ogni azione necessaria al servizio.
I volontari di questa mensa, molti arrivati da e tramite RomAltruista, sono una comunità di bellezza umana che spesso ha iniziato dieci o più anni fa e non si è mai fermata. Tutte e tutti, persone straordinarie. Non ricordo ogni nome, ma ne riporto alcuni, solo a ripeterli mi fa sentire meglio, grata, confortata, e forse sarà così anche per chi legge: Antonio, Luisa, di nuovo Luisa, Esther, Marina, Manuela, Maria Pia, Mario, eletto volontario dell’anno – musicista che ha suonato con Morricone e Piovani e qui lava i piatti sorridendo – Laura, la dottoressa igienista in pensione, preziosa durante il periodo Covid, e un’altra Laura, che va lì da dieci anni con entusiasmo immutato; poi la pensionata che lavorava agli aiuti internazionali, che mantiene lo stesso sguardo attento al bisogno di ognuno, come la ragazza giovane che pulisce i tavoli in silenzio e con cura, e porta i vassoi per farli svuotare, lavare, asciugare, e tante altre persone.
Infine Esther, “la pr della mensa”, che non smette di sorridere e accogliere e rassicurarmi, regala la sintesi di ciò che vedo: «Si sentono coccolati, così deve essere, noi nutriamo lo spirito e lo stomaco». E mentre lo dice, Frate Antonio, docente all’università Antoniana, sorride ma non smette di impiattare la minestra sui vassoi, perché non si ferma il flusso continuo di umanità, verso chi è senza dimora e trova nel calore del cibo un conforto vero o chi invece è in grande difficoltà e prende il cibo per portarlo a casa. Italiani e stranieri, senza alcuna differenza.
Alcuni quasi si scusano, spiegano perché sono lì – anche se lì nessuno chiede nulla a nessuno, in questa forma di rispetto assoluto per ogni ospite –, raccontano a bassa voce vecchi o nuovi problemi e ricevono un calore forte, non solo a parole, a volte è una carezza sulla spalla o uno sguardo gentile, senza giudizio, senza rifiuto. La cosa più difficile da dare.
Ma il clima gioioso è unito anche ad un’organizzazione perfetta, i dettagli cui accennavo. Ciascuno ha il proprio incarico: ritirare e asciugare i vassoi, rimetterli nel posto giusto, preparare le porzioni (il cibo è preparato e portato lì dai frati), distribuirle agli ospiti e poi dare i dolci, tagliare il pane, confezionare le buste con posate e tovaglioli, e altre micro attività essenziali. Non sembri banale, la cura è fatta anche di questo, usare solo pochi metri quadri per allestire il necessario di una mensa per centinaia di persone, lasciando così alla sala grande, dove gli ospiti mangiano, quell’aria, quello spazio che meritano. Credo ci sia anche in questo una visione alta e semplice del volontariato.
Per due ore ho fatto poche semplicissime cose, seppur con il timore di non farle bene, di non sapere come muovermi. Ma sono state due ore bellissime.
Due ultimi ringraziamenti: a Frate Antonio, una roccia, braccio, cuore, mente di questa oasi, al quale la prima volta ho fatto cadere un po’ di minestra passando (ancora perdono!), e a Frate Jordan, dalla California, che è venuto a visitare la mensa mentre ero lì e in pochi gesti e sorrisi ha diffuso allegria e umiltà. Ma soprattutto alle volontarie di quel sabato, gioiose, tenere ragazze che mi hanno accolta come fossi di famiglia.

A presto! E come dice Esther salutando, «Giornata gioiosa!».

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