Cucchiaini di felicità

Gli occhi grandi e vispi scrutano il banchetto appena allestito vicino il pulmino bianco di Romamor nel piazzale antistante la stazione Tuscolana.

Cerca di avvicinarsi, infilandosi tra le sbarre della ringhiera sgangherata. Mezzo metro di vivacità. Continua a giocare seduta sul muretto poco lontano, con un legnetto raccolto da terra: segue il tragitto disorientato di una microscopica formica che cerca un cumulo di terra nel quale infilarsi, mentre sua madre, finalmente rincuorata, le allunga con cautela cucchiani di macedonia, sul finire del pasto.

Si fa a meno del tavolo e delle sedie, (anche) stasera, lo stomaco si riempie voracemente con i piatti di plastica poggiati sulle ginocchia piegate.

Otto e trenta, stessa ora e solito posto. Dopo una giornata passata chissà dove, rincorrendo l’ostinato pensiero che li ha condotti nel circolo vizioso, per il quale, magari, questa sera sono tutti qua.

Impropriamente barboni, i senza tetto nella traversa di via Tuscolana. Magari sono gli stessi che abbiamo visto,di sfuggita, ciondolare questi giorni tra le vie strette sulle quali si affacciano palazzi così alti da lasciarsi dietro, fino a nascondere del tutto, un pezzo di cielo troppo alto… forse in qualche piazza troppo affollata per poter essere notati da passanti poco attenti. Forse Massimo, che mettendo alla gogna la vita esordisce dicendo “a me non me manca niente”, non è lo stesso tizio che dorme sopra i cartoni, sullo scalino vicino casa, eppure gli somiglia così tanto.

È una serata tranquilla, dopotutto. Fino a qui. In questa mezz’ora utile a soddisfare i bisogni per i quali non si può nascondere la debolezza. Con lo sguardo amareggiato, per una vita che non è probabilmente quella che avevano sognato, qualcuno si concede ancora un bicchiere d’acqua o di latte, un lusso per molti stasera.

È una serata tranquilla fino a qui, agli albori di una notte che non mancherà di mostrarsi balorda, così poco indulgente. Sul banchetto non è rimasto più nulla e il piazzale inizia oramai a svuotarsi. Mentre loro vanno chissà dove, io torno a casa rapita dal sorriso dolce di quella bambina che da lontano scuote la piccola mano e dice “CIAO!”

Irene Pompeo

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