Storie dei mici (della Piramide)

Un sabato pomeriggio di agosto, con mia madre (gattara dentro e fuori), decido di unirmi ai volontari che si occupano di accudire i mici della Piramide. Ad attenderci, dietro il cancello e ai piedi della scalinata che si trovano all’ingresso, ci sono loro: due volontari come noi, Marzia (il capo gattara) e ovviamente i mici.

Ci accolgono mentre sono immersi ognuno nei propri compiti e Marzia ci presenta subito Ezechiele, il vero protagonista della giornata. Arancione e bianco, occhi vispi, simpatico e socievole. Come se non aspettasse che noi. Facciamo un breve tour delle zone principali della colonia e subito capiamo quanto duro lavoro e amore c’è dietro l’impegno che Marzia ha preso. La colonia ospita circa 50 gatti, ma non appaiono sempre tutti i giorni e nei due orari previsti per la pappa (le 7:00 e le 14:00). Marzia li conosce uno per uno, conosce i loro gusti, le loro malattie, vizi e stravizi dei bellissimi mici che cura. Subito ci uniamo a Tommaso che sta cambiando i giornali nelle cuccette, mentre Sara sta lavando le ciotole che serviranno poi per il giro pappa.

Il lavoro che svolgono è faticoso (soprattutto alle due di pomeriggio d’estate), sporco e duro, ma sono precisi e meticolosi. Subito dopo è tutto pulito e le cuccette sono pronte. Ci spiegano che in questo periodo dell’anno i mici non le usano spesso perché preferiscono stare fuori al sole (chiamali fessi). Marzia, superattiva e coordinata nei suoi gesti che ripete due volte al giorno quattro giorni a settimana, ci porta in una piccola infermeria dove veniamo accolti da una mamma con tre piccoli cuccioli; il piccolo e simpaticissimo gatto Pupo che non è stato adottato e verrà liberato l’indomani mattina e Gilda, gatta un po’ forastica ma con un pelo rosso e folto da far invidia. Ezechiele, che non può entrare lì, ci segue intento a farsi coccolare, impicciarsi e perché no raccimolare qualche croccantino.

Di fronte c’è una piccola montagnetta con altre cuccette, che ci apprestiamo a pulire. Accanto alla montagnetta ci sono delle scale ed un cancello. Marzia, Tommaso e Sara preparano delle buste, noi li aiutiamo e li seguiamo. In cima le scale il sole di agosto ci illumina di nuovo e a bocca aperta arriviamo nel cimitero acattolico, giardino molto curato e frequentato da numerosi turisti. Seguiamo il tour delle pappe e aiutiamo a chiamare uno per uno i gatti che vivono lì e che spuntano da un po’ ovunque. Fiore, Sheila, Brontolo, Alice… uno ad uno dicono presente e attendono la pappa. Marzia ci indica cosa dare a chi perché, è bene dirlo, i gusti sono gusti. C’è a chi piace il pesce, a chi no. Chi mangia solo se viene coccolato sulla pancia, chi solo sotto il proprio cespuglio, chi deve prendere delle pappe speciali, chi delle medicine. Chi non vuole essere toccato e si avvicina a mangiare solo quando ci siamo allontanati. Ezechiele sempre con noi che, furbo furbo, pulisce i piatti che qualcuno non finisce. Nel giro di un’ora completiamo il giro del cimitero e ci apprestiamo a portare via piatti e a nascondere acqua e croccantini nelle postazioni
ben nascoste che solo noi sappiamo.

Marzia ci parla di ogni micio, ci spiega che in fondo ognuno ha la sua storia. Vorremmo sentirle tutte. I mici regnano sovrani tra i giardini della piramide e le lapidi del cimitero che non è affatto un luogo triste, ma strano a dirlo, è pieno di vita. Romani e non che passeggiano, gatti che si beano al sole e poi noi cinque che li inseguiamo per essere sicuri che tutti abbiano mangiato. Tornati giù sotto la piramide puliamo le ciotole, e ci riposiamo a chiacchierare e raccontare storie di gatti. Intorno a noi Ezechiele e qualche altro amico giocano, saltellano e ammirano il paesaggio. Chiediamo a Marzia cosa si può fare per aiutare la sua associazione. Ci risponde di condividere il più possibile gli annunci sulla pagina di Facebook per le adozioni per cercare di trovare una casa a più mici possibili. Le due ore sono volate e andiamo via con tanti sorrisi e miagolii nel cuore, felici di aver fatto qualcosa di piccolo ma che speriamo possa essere servito per dare una mano.

Daniela Colabuono

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