Insegnare è apprendere
Arrivo a casa Africa sempre trafelata, esco dall’ufficio all’Eur e inizio una folle corsa verso via Sistina. Ieri c’erano due ragazzi nuovi, mi hanno accolta con un bellissimo “benvenuta”. Pensavo di dover essere io a dire a loro Benvenuti, ma mi hanno preceduta. Era la prima volta che li vedevo e mi hanno confermato che anche per loro era la prima volta a Casa Africa.
Poi è arrivato il mio “studente” che non studia, intelligente come pochi e giovanissimo con gli occhi che ridono sempre, che ti guarda sornione e dice che non ha potuto studiare perché lo ha chiamato suo padre da un lontano paese africano dicendo che è morta sua nonna. Insomma il Pierino di tutto il mondo, uguale sempre, ovunque si collochi, intelligente e svelto, che la scuola non sa imbrigliare e pertanto lo lascia andare, perdendo un’occasione per coltivare un fiore prezioso.
La lezione che doveva durare 2 ore è durata quasi 3 ore, senza che nessuno di noi si accorgesse del tempo che passava. Pierino, non si è mosso, ha ascoltato e partecipato e interagito come ancora non gli avevo mai visto fare. I due ragazzi nuovi parlano l’italiano molto poco. Sono qui da un Paese dove c’è la guerra, uno da quattro anni e uno da sei mesi. Hanno volti belli, sembrano accoglienti, ma non dovrei essere io ad essere accogliente? Si, certo che lo sono, ma loro mi stupiscono per le espressioni che li caratterizzano di pace, di serenità, di voglia di aprirsi, ma perché il loro Paese è in guerra? Uno dei due è sposato e ha una moglie laggiù. Quando ne parliamo abbassa gli occhi e mi guarda da sotto in su, sfugge lo sguardo, ha pudore a parlare della sua intimità.
Pierino ha solo il colore della pelle scura ma è nato a Roma, parla romano, è un italiano a tutti gli effetti e gli secca essere considerato un estraneo a noi. J. ed M. vivono per strada, in un palazzo di quelli mai finiti, uno scheletro senza coperture. Mangiano pasta tutti i giorni e forse qualche volta alla caritas. Cercano un lavoro, devono imparare l’italiano. “Come ti chiami” è la prima frase che studiamo: “io mi chiamo” “vengo da Eritrea” “io parlare poco poco italiano” che meraviglia, allora impariamo il tempo presente del verbo venire, e del verbo chiamare, e del verbo parlare, così potrai dire “io parlo poco l’italiano e vengo dall’Eritrea” e quando andrai a cercare lavoro sarai avvantaggiato, perché avrai più possibilità di comunicare meglio, di essere capito meglio e magari di trovare un lavoro.
Perché ai due ragazzi basterebbe questo, un lavoro e una paga che consenta loro di prendere una casa in affitto. “Casa” è un nome, femminile, singolare, “affitto” è un nome maschile singolare, ahimè quasi irreale. Quando pronuncia la parola affitto, J. sorride, come lui sa sorridere con gli occhi, è una meta da raggiungere avere una casa in affitto. E quando ti presenti all’Ufficio immigrazione cosa ti chiedono, “perché sei venuto in Italia?” scriviamo sulla lavagna la risposta: sono venuto in Italia perché nel mio paese c’è la guerra, e io sono dovuto scappare. Vorrei trovare un lavoro e poter vivere una vita normale in un Paese senza guerra. Vorrei guadagnare dei soldi per poter prendere una casa in affitto e comprare delle cose da mangiare”.
Bene analizziamo ciò che abbiamo appena detto, abbiamo utilizzato i nomi- verbi- articoli- aggettivi- avverbi- pronomi- preposizioni- particelle riflessive- congiunzioni- avverbi- ma forse dovremmo sapere anche con quali lettere si costruiscono le parole, questo è il nostro alfabeto, vocali e consonanti ….
Il mio Pierino ha fatto un tema: da grande vuole fare il poliziotto per proteggere la gente e farla sentire sicura, e poi vuole aprire una scuola di calcio gratuita per i bambini che non hanno i soldi per potersela permettere. Non mi vergogno, ma mentre leggo, mi si è formato il nodo dell’emozione nella gola. Scrive bene, corretto, molto asciutto, senza una sbavatura.
Io è un pronome, sta al posto del tuo nome: J. o il mio Tu e serve sia per il maschile che per il femminile, mentre Lui serve per il maschile, Lei per il femminile ….. Noi siamo questi che stiamo qui a scambiarci tante informazioni, Voi siete quelli che venite dal Paese in Guerra, Loro sono quelli là fuori che di noi non sanno nulla.
Essere e Avere (i verbi più importanti perché aiutano gli altri verbi), voi siete ma non avete, forse noi abbiamo ma non siamo più. E forse non abbiamo più neanche noi. NOI è un pronome molto importante, unisce e non divide. Come si dice nella tua lingua io? – anä
I verbi stanno tutti in tre gruppi, Are-Ere-Ire- divertiamoci a dividere la lavagna in tre parti e mettiamo in ciascun gruppo il verbo che ne fa parte.
Vorrei fare di più, vorrei dar loro qualcosa ma poi penso, è un lavoro che devono avere, per avere il lavoro devono sapere i rudimenti della nostra lingua, e mentre Gemma, che è una persona straordinaria prepara per loro un pacco alimentare, io continuo a insegnare loro l’italiano, perché siano accolti in questo Paese, perché possano trovare qui quello che nel loro bellissimo Paese non sono riusciti a trovare: la dignità dell’essere umano.
E la dignità passa attraverso il sapere, il comunicare e il lavorare.
Mi chiamo Matilde, ho 57 anni e sono nata in Sicilia ma vivo a Roma da quando avevo 4 anni. Lavoro in un Ministero dei tanti romani. L’insegnamento è rimasto sempre il mio sogno non realizzato. Mentre seguivo i miei figli nei loro studi, pensavo che avrei tanto desiderato insegnare ai ragazzi che non potevano permettersi gli studi, ai ragazzi “di strada” come vengono chiamati – io preferisco chiamarli “ragazzi senza pari opportunità”.