Casa Africa

E’ un portoncino chiuso con un lucchettone in basso.
Arrivo dopo aver cercato la via tra le stradine laterali a Via Veneto, la lussuosissima via della “Roma In” degli anni ’50, sfarzosa ancor oggi. Passo dalla bellissima chiesa dei Cappuccini  e poi finalmente ci sono:  Casa Africa.
E’ tutto chiuso, dei ragazzi di colore sono seduti al bar di fronte. Capisco che anche loro stanno aspettando e mi guardano. Chiedo di Gemma e un signore dal viso pensieroso,  un po’ più grande di un ragazzo mi dice, sta arrivando, siediti. Non sono abituata a tanta cordialità, in genere la gente è indifferente e silenziosa, non conversa con gli estranei. Invece mi siedo e chiedo loro da dove vengono. Dall’Eritrea, dall’Egitto… ma ecco arrivano le insegnanti si può entrare.
All’inizio è un gruppetto di pochi, poi arrivano alla spicciolata  gli altri, ragazzi, solo ragazzi non ci sono donne, africani e non.  Infatti due di loro vengono dall’est, Ucraina e Russia. Sono alti biondi, chiarissimi di pelle e siedono vicino ad un ragazzo venuto via da poco dalla Siria, mi si stringe un attimo il cuore. Poi c’è chi viene dal Senegal, chi dalla Mauritania, diventano in poco tempo un folto gruppo di studenti. I loro nomi sono complicati per me, Abraham, Cheick, Huouger, Ivan e Sergei, mi scuso per altri nomi che non ho capito, mi sono sentita straniera in terre lontane.
Le due ragazze che ieri tenevano la lezione sono Maria e Mariele, giovani, fresche e precarie italiane.
Ieri si studiava l’imperfetto, della prima della seconda e della terza coniugazione, cos’è l’imperfetto chiedevano i ragazzi. E come spieghi loro cos’è l’imperfetto? certo è un tempo passato, un’azione svolta ieri, l’altro ieri, ma è un’azione che perdura nel tempo, non è finita per sempre. Sanno quasi meglio l’inglese e ti aiuta saperlo, per far comprendere il significato delle parole incomprensibili che leggono per la prima volta. Ed ecco, era lì, seduta vicino a me, Alberta insegnante d’inglese che riesce a dialogare con chi conosce quella lingua e trasferire concetti, missione molto più complessa in italiano. Io me la cavo con l’inglese e così collaboriamo in quattro a far capire ad esempio il termine “cittadino”. Mi ha colpito il ragazzo ucraino che non riusciva a trovare la parola corrispondente nella sua lingua.
I verbi  essere e avere si studiano per primi, come sempre:  Io ero… tu eri, lui/lei era, noi eravamo, voi eravate essi erano, non è proprio facile,  ma perché non è io essevo?  e perché non è “loro eravano” Bellissimi, teneri, ma anche colti. Il ragazzo siriano è sicuramente di un livello di istruzione superiore, ama le lingue e chiede conto di innumerevoli sfumature. Parla l’inglese perfettamente, ma anche CheiKh, dal Senegal con gli occhi che ridono e con tante speranze dentro, è bravo, parla il francese lui e si aiuta con quella lingua a capire ciò che in italiano gli sfugge.
E poi ecco arriva Gemma, pensavo fosse un’insegnante, so che è il capo progetto. Resto folgorata, è una bellissima donna eritrea, con gli occhi chiari come un mare d’inverno, il capo avvolto in un turbante splendido ed un lungo abito grigio. Parla italiano benissimo, si chiama Gemma Vecchio, cognome italiano! So che il suo viso mi ha messo allegria, voglia di partecipare, il suo dialogo veloce e fattivo improntato a: facciamo qualcosa subito, ora… non c’è tempo da perdere, mi ha dato un grande entusiasmo.
Che dire! Ho conosciuto un mondo ieri, di persone che si danno una mano, che sperano in un futuro migliore, che guardano alla vita con tante speranze, esattamente come me che auspico un mondo migliore  per i miei tre figli.
Giovedì prossimo tornerò e per ora sono l’unica ad essere iscritta per fare lezione d’italiano, spero però qualcuno si aggiunga, per me sarà un onore accompagnare questi ragazzi ed altri  nel loro percorso di conoscenza della lingua italiana, sapendo che quando si impara una lingua in realtà si entra, senza forse saperlo, nella realtà  di chi la parla.

Mi chiamo Matilde, ho 57 anni e sono nata in Sicilia ma vivo a Roma da quando avevo 4 anni. Lavoro in un Ministero dei tanti romani. L’insegnamento è rimasto sempre il mio sogno non realizzato. Mentre seguivo i miei figli nei loro studi, pensavo che avrei tanto desiderato insegnare ai ragazzi che non potevano permettersi gli studi, ai ragazzi “di strada” come vengono chiamati – io preferisco chiamarli “ragazzi senza pari opportunità”.

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Un pensiero riguardo “Casa Africa

  • 4 Aprile 2013 in 23:06
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    Ho condiviso questa lezione con Matilde e mi ritrovo in tutto ciò che ha raccontato con tanta sensibilità. Anche a me è bastato un solo giorno a Casa Africa per decidere di continuare. Insegnare l’italiano agli stranieri è uno scambio di emozioni e saperi. Qualcosa che fa bene, veramente bene.

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