La notte di San Martino
Sabato sera, mentre i più sono presi dall’agitazione di quale ristorante scegliere e di quale menù assaggiare (thailandese? Una classica cacio e pepe? O meglio vegano?), io ho voluto esagerare: ho scelto un ristorante piuttosto insolito, rasente la stazione Termini e con dei commensali piuttosto insoliti. Ho partecipato alla serata “Cena per due… Cento!” e, in compagnia della cara Ileana e di altri sei volontari, abbiamo vissuto una magnifica esperienza, ricca di amore e carità. In fila la sera, per un piatto di riso, c’era la gente cosiddetta ‘normale’: impiegato di fabbrica licenziato dalla crisi, il giornalista Medio-orientale costretto a fuggire dal proprio paese per non fare la fine di tanti suoi conoscenti abbandonati privi di vita ai lati delle strade, e tanti altri.
Diverse parole ho trascritto dall’esperienza di sabato sera (sono solito, infatti, tenere un taccuino su cui annoto delle piccole sensazioni durante la giornata);
La prima è l’importanza dell’azione dei volontari, non solo sotto l’aspetto terreno (sollievo delle sofferenze corporali, effetto sostitutivo dello Stato nell’assistenza agli emarginati ecc..) ma anche escatologico; Il mio compito era quello di contare quante persone stavano in fila e garantire un certo ordine alla fila stessa. Posizione e ruolo, questo, che mi ha permesso di scambiare quattro chiacchiere con gli ospiti mentre pazientemente (chi più chi meno!) attendevano il proprio turno.
Roberto (uso un nome di fantasia), il povero che ho conosciuto sabato, mi ha condotto ad un ragionamento spirituale che avevo sottovalutato. La settimana scorsa ricorreva la festa di san Martino, il soldato francese che divise in due un mantello per coprire un povero mendicante nudo e freddoloso.
Il ragionamento di Roberto è stato inappuntabile: se Dio, nella sua infinita misericordia, volle fare santo un uomo per un gesto così umile e semplice, nei confronti di un bisognoso, quanto più premierà i volontari che – non una volta – ma ogni sera – si occupano dei poveri e degli emarginati? Del resto, un piatto di minestra calda, ha lo stesso effetto del mantello di Martino: scalda in egual misura.
La povertà, specie se non innata ma acquisita in età adulta, magari dopo un periodo di agiatezza, può portare rapidamente allo scoraggiamento e alla depressione. Il ruolo dei volontari, per Roberto, è la stessa della rete di protezione del circo: l’equilibrista (della vita), sollecitato dalle difficoltà economiche, familiari, dalla precaria salute, tenta di non cadere giù, ma qualora succedesse, la rete di protezione è li, pronto ad accoglierlo.
Quella sera, a sorreggere la rete, eravamo in otto.
Al thailandese, alla classica cacio e pepe o al vegano preferisco una banchina della stazione Termini e i suoi straordinari ospiti.
Mi chiamo Alessandro, ho 32 anni e sono uno dei tanti siciliani trapiantati a Roma. Decisamente convinto che i sogni nel cassetto facciano la muffa, cerco di pensare in grande e vivere con semplicità, impegnandomi in molteplici azioni di volontariato. Dove posso cerco di portare il mio contributo, con la falsa credenza che sia io ad aiutare gli altri. Invece, in questi ultimi anni, sono stati proprio i più poveri (non solo in senso materiale), i bisognosi e gli emarginati ad aiutare me dandomi grandi lezioni di vita. Adoro la Nutella, i romanzi di Camilleri, l’odore umido della terra dopo la pioggia e quello dell’inchiostro dei giornali ad inizio mattina. Divido il tempo libero tra brevi viaggi e la passione per la fotografia, cercando, qui, di mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore.