TU, DOVE VAI AL MARE?

   E’ mercoledì mattina. Mi alzo con un sogno che mi è rimasto incastrato in testa dalla notte appena trascorsa. Non lo ricordo bene, ma mi sembra che il caffellatte della colazione ne serbi il sapore, così come il sole romano la limpidezza.

   Il giorno prima mi sono iscritto ad un’attività di volontariato tramite il sito Romaltruista. La mia prima attività. Questo pomeriggio dovrò andare a San Lorenzo per aiutare un gruppo di persone con disabilità a studiare e stare insieme. Questa voglia di dare una mano mi è esplosa dentro non molti giorni fa, incontenibile e fresca come un torrente di acqua di lago.

   A pranzo un piatto di pasta e tanti pensieri. Il pensiero degli altri. Il pensiero dell’inadeguatezza. Il pensiero della condivisione. Il pensiero della gioia. Il pensiero della paura. Il mio cuore prende lentamente una forma nuova di responsabilità, accelerato dal ritmo di anime che ancora non ho conosciuto. E’ difficile ignorare la novità e tutto quello che può portare. Per me, quest’esperienza mai fatta prima, ancora informe, già mi sta parlando: di altre aperture, di tempi diversi, della sensazione di trovarsi davanti ad uno specchio.

   Penso se andare a piedi o prendere il tram. Prendo il tram.

   Arrivo in anticipo. Mi metto a fare un giro del quartiere, che ormai conosco bene da tanti anni. Mentre cammino, tuttavia, mi sembra di vederlo già con occhi diversi: più curiosi, come quelli di un esploratore. Delle tante volte in cui sono venuto qui, non l’ho mai fatto per fare del volontariato; né potevo pensare ci fossero delle persone, tra le pareti di questi edifici così familiari, che ne avessero bisogno. Improvvisamente, comincio ad immaginare che i graffiti sui muri siano stati eseguiti dalle persone disabili che sto per conoscere. Al botteghino del cinema Tibur, ad un tratto, vedo lavorare il cugino di uno di loro, il kebabbaro all’angolo è diventato il fratello di un altro ancora, invece il gestore del bar sulla piazzetta è proprio lui!, si, non me ne ero mai accorto che avesse quegli occhi strani, un po’ a mandorla.

   Il tempo di controllare l’orologio ed eccomi qui, all’ingresso.

   Dopo aver sceso una rampa di scale, mi trovo in un corridoio da cui si intravedono due stanze. In una di queste, scorgo una signora molto distinta, capelli biondi e sguardo rassicurante di chi conosce la vita abbastanza bene da portela definire amica. Mi presento e dico che sono lì per fare volontariato. L’associazione si chiama Casa di Pulcinella, esiste da oltre vent’anni e si prende cura di persone con vari gradi di disabilità. Delle prossime due ore che trascorrerò lì, la prima è dedicata allo studio e la seconda alla merenda e alle attività ricreative. Vengo accompagnato verso la stanza nella quale c’è già il mio gruppo che aspetta. Entro.

   E’ come un tuffo in acqua calda. Sento mille occhi che si girano verso di me, mi guardano, mi scrutano. Mi accolgono. Scivolo con estrema naturalezza in un mondo nuovo.

   “Tu, dove vai al mare?”, mi chiede subito una signora bionda, seduta alla destra del tavolo che occupa il centro della stanza.

   “Nelle Marche. Però da piccolo. E’ da tanto che non ci vado”, rispondo io. Rimango interdetto dalla mia stessa risposta.

   “Vieni, siediti vicino a me”, ribatte la signora, forse intuendo la tristezza che mi ha velato lo sguardo per poco meno di un attimo.

   La raggiungo e mi siedo. L’ora di studio non è ancora cominciata: siamo in attesa della volontaria che la gestirà e che gli altri conoscono bene. Per ora, sono io il centro dell’attenzione.

   “Come ti chiami?”, mi chiede un ragazzo più giovane, che si trova seduto davanti a me. Ne noto l’aspetto delicato, intimo, i suoi occhi vivacemente azzurri.

   “Michele”, gli rispondo.

   “E di dove sei?”

   “Vivo a Roma da tanti anni ma sono originario dell’Umbria, vicino Assisi”, ribatto.

   “Assisi!”, esclama. Il suo volto si illumina. Vedo nel suo sguardo un ricordo che lentamente si trasforma di nuovo in vita. “Ci sono stato. E’ bellissima!”, aggiunge. Ha ragione.

   Mi guardo intorno. La maggior parte delle persone con cui condividerò queste due ore sono adulte. Quello che mi colpisce di più, tuttavia, è la loro energia: sono vivaci, curiosi, attenti, concentrati. Abitano il momento che vivono, attimo per attimo, immemori del passato recente e non curanti di futuri lontani.

   Per un secondo, mi sembra di ricordarmi il sogno della notte prima. Pochi momenti, e mi sfugge di nuovo.

   Quando mi giro, vedo entrare la volontaria che si occuperà di gestire l’ora di studio. E’ giovane, sicura di sé e gode del rispetto di tutti i partecipanti. Sarà lei a fare lezione. Vengo a sapere, infatti, che fra qualche settimana (ma nessuno sa esattamente quando), ci saranno gli esami finali. E’ necessario superarli per avere la possibilità di andare in colonia, a fine luglio. Toscana, una piscina, il mare e tanto divertimento assicurato. Leggo negli occhi dei miei nuovi compagni la voglia di farcela a tutti i costi. La bellezza di avere un obiettivo e tenerselo caro, come un amore.

   “Mi dai il tuo numero di casa?”, mi chiede all’improvviso la signora bionda accanto a me, mentre sta già tirando fuori carta e penna per segnarselo.

   La lezione del giorno sarà sull’inquinamento. Vengono distribuiti dei fogli di carta con un disegno e delle spiegazioni sulle varie fonti che possono provocarlo. A turno, tutti leggono un paragrafo, dopo di che la volontaria ne spiega meglio i contenuti e fa altre domande, per stimolare una discussione sul tema. Rimango affascinato dalla voglia di imparare che riempie la stanza. Tutti vogliono fare bene e, soprattutto, vogliono che la volontaria capisca che sono bravi. Che quella colonia a fine luglio, se la meritano davvero.

   Per un attimo cerco di svuotare la mia mente e di mettermi nella loro stessa condizione. Leggo mentalmente le parole, con cura e lentezza, così come fanno loro, assaporandone i significati senza dare nulla per scontato.

   “Ma io non so come fare!”

   Vengo riportato alla realtà da quella che mi sembra una richiesta di aiuto. Una signora, di fronte a me, non ha ben capito cosa ha chiesto di fare la volontaria (scrivere sul retro del foglio cosa ognuno si impegna a mettere in pratica per non inquinare l’ambiente). Mi guardo intorno, cercando di capire se dire qualcosa. Forse dovrei intervenire, forse dovrei spiegarle di nuovo qual è il compito da svolgere. Mi rendo subito conto, però, che nessuno si sta preoccupando di quello che succede. Gli altri sono tutti occupati a scrivere sul loro foglio. Decido di non fare nulla. Decido di rispettare i tempi diversi di queste persone, di non imporre la mia idea di efficienza a qualcuno cui, probabilmente, non interessa. Aspetto.

   “E’ pronta la merenda!”, esclama un’altra volontaria, affacciandosi alla porta. La prima ora è volata. Adesso ci dobbiamo spostare nell’altra stanza, dove ci raggrupperemo con altre persone disabili per l’ultima parte del pomeriggio.

   Mi alzo, seguo il gruppo e vado di là. Lo spazio è più grande. Aiuto a spostare alcuni tavoli e a mettere le sedie in cerchio. In poco tempo, è tutto pronto. A questo punto, una volontaria passa con un vassoio in mano per distribuire la merenda. Penso che potrei rendermi utile, quindi torno nella prima stanza per chiedere se c’è bisogno di una mano per qualcos’altro.

   Entro e la vedo. La signora che non aveva capito cosa doveva fare. Adesso ha capito. Sta scrivendo con molto impegno il suo compito sul retro bianco del foglio: è già a metà pagina. Mentre scrive, tiene i suoi occhi vicinissimi alla carta, per evitare che qualche parola cada fuori dalla sua testa e resti dimenticata. Ognuno ha i suoi tempi, e sono tutti giusti.

   Distribuisco un bicchiere di tè per uno alle persone sedute in cerchio. Una volta finito, vado a sedermi accanto alla volontaria. Il gioco del pomeriggio consiste nel lanciare una palla in un cestello posto al centro della stanza. Tutti proviamo, a turno. Me compreso. Nessuno riesce. C’è da dire che il cestello era davvero piccolo. Mi sento confortato dal nostro enorme fallimento. Ci immagino darci grandi pacche sulle spalle e dire: “Ci abbiamo almeno provato”. Sorrido.

   Gli ultimi dieci minuti sono dedicati a cantare e ballare. Tutti conoscono le parole delle canzoni ma non io. Improvviso. Cerco di indovinare le parole prima che vengano dette; i gesti delle coreografie, invece, sono più facili da intuire perché basta fare quello che dice il testo. Alcune persone si sono alzate e sono al centro della stanza. Ballano. Resto a guardare il loro ondeggiare sulle punte della vita, un fuori tempo esatto, centrato, esposto. Per un attimo vorrei partecipare, ma alla fine decido che è più bello così.

   Saluto tutti e me ne vado. Prendo il tram anche per il ritorno.

   Mentre sto aprendo la porta di casa, mi ritorna alla mente il sogno, stavolta nitido e inequivocabile: io, da bambino, sull’altalena fuori casa, che rido a crepapelle senza un motivo.

Michele

Su di me: lavoro con le emozioni. Mi piace osservare in silenzio. Credo che la gentilezza sia un segreto da imparare.

 

 

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Un pensiero riguardo “TU, DOVE VAI AL MARE?

  • 16 Giugno 2017 in 18:24
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    bellissima testimonianza, complimenti!anche io ho fatto varie attività con roma altruista e questo mi ha arricchito portando non solo a ritrovare il sorriso, ma anche a conoscere una nuova sensibilità!grazie per la condivisione!

    Risposta

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