Togli via quegli occhi di plastica: avvicinati e guarda.

Non sto qui a farvi la paternale e dirvi cosa bisogna fare/non fare dire/non dire. Mi limiterò a parlarvi di me, della mia esperienza, di ciò che penso. Così, per annoiarvi un po’… o forse per farvi scoprire un punto di vista vicino al vostro.
Inizio col dire che vivo a Roma da qualche anno, e fin qui non c’è niente di entusiasmante penserete. Ma non è questo il punto: il fatto è che questa città è sempre così frenetica, così caotica da non andare mai nella stessa direzione… Tutti sembrano presi dalle proprie cose, da questa vita che scorre troppo velocemente, e allora camminano a passo svelto quasi per rincorrerla come se la giornata fosse troppo corta per darci il tempo di pensare, guardarsi intorno.  In un caos come questo, come in tutti caos che si rispettino, è facile lasciarsi travolgere dal primo passante per strada, ancora più facile sentirsi soli … mille volte più facile se sei un anziano, un emarginato , qualcuno non conforme alla struttura base di questa società  e allora nessuno si cura di te. Una volta incontrai una donna: si chiamava Grazia… era ferma davanti ad un motorino, si reggeva sul sedile con una mano e guardava nel vuoto con gli occhi fissi in un punto impreciso di quel marciapiede , chiaramente smarriti. Le passai davanti come tante altre persone, non  vidi nessuno curarsi di lei, tutti troppo indaffarati ad andare chissà dove. Tutti. Restai ferma qualche minuto a guardarla, nessuno si fermò. Io mi avvicinai e le chiesi se avesse bisogno d’aiuto, lei mi guardò quasi incredula. Non vi sto a raccontare che tipo di problema avesse, vi dico solo che era malata e aveva bisogno di camminare, tanti problemi e non un parente lì con lei ad accudirla. Grazia si sentiva sola, come darle torto. Non so se è stato quello il momento, ma qualcosa mi è rimbalzato nella mente, mi ha colpito…da qualche parte non ben definita del mio corpo, ma l’ho sentita! Nello stomaco, nel cuore, negli occhi. Sì esatto, gli occhi. Ho iniziato a guardare con un occhio in più, a vedere le cose per ciò che non appaiono… quelle cose impercettibili che ti passano davanti e non te ne curi, che magari ti sfiorano soltanto e non le afferri perché ‘’hai altro da fare e ci penserai poi’’. Ho pensato a me, alle mie gambe forti di chi ha appena superato i 20 anni, proprio quelle gambe in quel momento camminavano accanto ad altre due gambe che un tempo erano state forti come le mie, che avevano girato il mondo e avevano corso… e che ora non ce la facevano più,  dovevano reggersi ad altre gambe per camminare, perché due gambe ormai non bastavano.  Ho pensato alla fortuna di avere quelle gambe sane, solide, che potevano ancora bastarmi e mi sono sentita indispensabile , come avessi un scopo, come stessi facendo qualcosa di veramente importante: accompagnare Grazia a comprare due panelle di grano duro, due le andavano bene perché ne avrebbe mangiate anche nei giorni successivi. Mi sono sentita presente in questo mondo, c’ero io, le mie gambe e le gambe di Grazia, e questa era la cosa più rilevante.
Perché esiste qualcosa in questo mondo così imperfetto di più grande della religione,  dell’età, dell’astrazione sociale o del colore di pelle. Qualcosa che ci appartiene nel profondo, in un posto molto più incavato da qualche parte della nostra anima. Qualcosa di sommerso, sotterrato da tanta sabbia, rancore , insoddisfazione tanto da dimenticarci che esiste. Eppure resta lì, aspettando che venga smosso da qualcosa o da qualcuno. Questo qualcosa è la cosa più banale che l’uomo possa concepire: l’umanità. Ma come molte cose banali, capita che non ci pensiamo, ce ne dimentichiamo e il tutto diventa come una vecchio  oggetto lasciato per anni in un luogo qualsiasi della nostra casa e poi dimenticato. Se riuscissimo a vedere il mondo con gli occhi di un bambino , con quell’innocenza non macchiata, forse potremmo ancora scorgerla, ritrovarla lì dove l’abbiamo lasciata e donarla a qualcuno che magari non conosciamo. Come quei mendicanti sul bordo della strada, come quel tizio seduto ogni mattina col palmo rivolto verso l’altro e con la stessa giacca di jeans ogni stagione, o quell’altro ancora, quel tipo che sorride a metà sempre davanti allo stesso negozio con quel violino scordato tra le mani. Allora forse riusciremmo a commuoverci, a vedere le cose per ciò che sono realmente, a disabituarci dalla brutalità della vita quotidiana e fare qualcosa per combatterla…anche solo in parte. Pensiamo troppo a noi, è forse questo il punto? È questo il problema? Siamo anestetizzati da questa vita che ci sbatte in faccia ogni giorno così tante brutture e tristezze che ormai non ci facciamo neanche più caso. La vita ci ha anestetizzato e non riusciamo più a guardare.
Ci sono tante vite da raccontare, tante storie da cui imparare qualcosa, siamo tanti nel mondo e tutti possiamo arricchirci in un modo o nell’altro… penso che le persone che fanno volontariato lo facciano sì per gli altri, ma un po’ anche per se stessi, per sentirsi meglio, per tornare a casa ed essere soddisfatti di aver fatto qualcosa e aver strappato un sorriso a chi ha poco da sorridere. Mi sono avvicinata a Romaltruista quasi per caso, e mi ci sono appassionata. Ho partecipato a vari progetti e trovo il tutto molto… interessante mi sembra una parola banale, lo trovo utile. Utile per incontrare tante persone, utile per sorridere, utile per sentirsi tutti una grande famiglia… per poco, per il tempo che serve: per apparecchiare un tavolo e dare un pasto caldo a chi una casa non ce l’ha, per donare un po’ di caffè o latte a chi non sa con cosa fare colazione la mattina, per curare qualche povero animale che è stato abbandonato senza pietà quando è diventato di troppo. Senza poter né parlare, né replicare, con l’unica colpa di avere quattro zampe.
Ecco che forse il volontariato, i volontari che mettono anima e corpo in questi vari progetti sono quasi un’ancora di salvezza, uno spiraglio di luce. Perché la vera povertà, il vero disagio sociale, è quello interiore. Svegliamoci e iniziamo a mettere da parte tanta superficialità: siamo figli della stessa terra, camminiamo tutti sullo stesso asfalto , respiriamo nello stesso modo, siamo uomini e siamo uguali.
Sapete, la cosa che mi ha sconvolto di più è stata quando ho partecipato ad un progetto chiamato ‘’oggi a pranzo a mensa manchi solo tu!’’.  In quella circostanza la cosa più devastante è stata vedere sì tanti extracomunitari, ma anche tanti italiani… Nonne ,padri, madri italiani come tanti con un’ottima padronanza della lingua italiana, persone distinte sedersi titubanti  e indossare chiari segni d’umiliazione nel sedersi su quei banchi di legno e chiedere una razione di zuppa in più per la fame, un pezzo di pane da portare a casa… una bustina di carta dove poter conservare un po’ di sale.
Probabilmente potremmo fare ben poco per contrastare tutto questo, ma non fare niente sarebbe come morire due volte. E allora basta poco, basterebbe porgere una scodella, regalare un sorriso, donare un po’ di sale in avanzo.  Basterebbe l’umanità,  è tutto lì quel qualcosa in più.
Per quanto mi riguarda, per quello che mi resta da dire, ringrazio Romaltruista per le ricche giornate che mi ha regalato, sperando che a questi progetti possano prendervi parte sempre più persone.
Ringrazio tutti i volontari che ho incontrato, alcuni forse non li rivedrò più, ma so che ognuno a modo loro mi ha dato qualcosa.
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di leggere questo articolo, chi non condivide le mie idee ma ha continuato a leggere lo stesso,  chi si è sentito vicino a me, senza conoscermi, senza dire una parola, annuendo col capo , per il tempo che basta per arrivare fino alla fine di queste righe.
Chi, come me, ha già partecipato a Romaltruista e si renda conto di quanto, una volta iniziata questa esperienza, sia difficile smettere.

Paola  viene da un paese della provincia di Salerno ma vive a Roma da qualche anno.
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Un pensiero riguardo “Togli via quegli occhi di plastica: avvicinati e guarda.

  • 28 Maggio 2015 in 00:29
    Permalink

    Buonasera a tutti. Vorrei scrivere due righe qui perché dopo aver partecipato ad un paio di incontri organizzati da questa piccola/grande comunità ho capito quanto realmente potremmo realizzare con un ritaglio di tempo dedicato a chi ha bisogno; non solo di un pezzo di pane o di una coperta ma di una parola, un sorriso. Potremmo realmente fare tanto per chi ha bisogno disperatamente di condivisione e compagnia più che d’ogni altra cosa al mondo. Ho voluto essere su questo post per poter ,in prima persona, riuscire, raccontando l’appagante esperienza, ad aiutare e convincere altri/e come me a dedicare un’ora della loro vita a chi non desidera altro che vivere e non morire da solo. Io sono un ragazzo di 31 anni che nella sua vita , fortunatamente, ha potuto frequentare scuole, fare duemila sport, viaggiare, fare caz…te è tutto ciò che un bambino, un’adolescente ed un uomo avrebbero potuto fare prima di capire cosa fare della propria vita. Ho sempre lavorato ed ho amato tutti i mestieri che ho incontrato nel mio cammino. Mi sono sempre relazionato con tutti senza pregiudizi realizzando che , per quanto lo si possa desiderare, la pace tra gli uomini e la semplice condivisione di terra ed aria, é un obiettivo difficilmente raggiungibile. Questo perché tutti parliamo e pochissimi agiscono. E per agire non intendo dare vita a guerre o alimentare rivoluzioni violente ( anche se purtroppo la storia ci insegna che solo questi eventi cruenti riescono nell’impresa) ,ma semplicemente concedere uno spicchio del proprio cuore al prossimo che , inaspettatamente, é più vicino a noi di quanto non si pensi.
    Tutto questo mucchio di parole é soltanto per condividere con Voi l’appagamento interiore che un solo “partecipo” ad un solo evento di volontariato mi ha regalato.
    Credo realmente che l’uomo debba essere libero e vivere benevolmente con il prossimo e spero con tutto il cuore che un giorno i si saranno più numerosi e più forti dei no così che il mondo intero possa vivere dignitosamente e trovare una mano tesa nel momento del bisogno.
    Un abbraccio forte e sincero a tutto lo staff , i volontari ed i lettori.
    Provate, al massimo avrete passato un’ora diversa.
    Gabriele C.

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